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Bruce Springsteen – Wrecking Ball

Ok. Lo ammetto.
Non sono mai stata una fan del Boss, anzi. Non mi è mai piaciuto particolarmente. Troppo americano, troppo patriottico. Rock’n’roll zuppo di sudore, quasi mai di viscere.
Ebbene, faccio pubblica ammenda. Il diciassettesimo disco di studio di Bruce Springsteen è qui per restare, e probabilmente diventerà un istant classic, come tanti altri suoi lavori. Questo è un album da stadio, nel senso migliore del termine; musica da tempi duri, da cantare a squarciagola con gli occhi umidi.
Queste undici canzoni fanno annodare la voce per l’emozione, che emerge forte e chiara – sapendo anche che lo storico sassofonista, Clarence Clemons, il Big Man della E Street Band, ha suonato il suo ultimo assolo in Land of Hope and Dreams.
Wrecking Ball è una promessa mantenuta. In questo viaggio lungo undici brani Bruce non si risparmia e fa la radiografia al sogno americano, che in questi anni di disperazione e cadute non è più intatto.
Sono anni di grandi speranze tradite, di guerre perdute, tragedie e coraggio. Il Boss, vessillo dell’american dream – che faceva sperare milioni di persone, di immigrati decisi a darsi una chance nel Paese della felicità, nella terra di latte e miele – è ancora tra noi. E Wrecking Ball è il suo disco migliore da diversi anni a questa parte.
È vero: in Wrecking Ball ci sono tre brani in qualche modo già ascoltati in live o edizioni speciali – ma poco importa. Quello che conta è che qui ci sono vere lacrime, vero sangue.
Siamo dalle parti di Nebraska, il disco politico del 1982, vestito di folk e protesta. I temi sono di stretta attualità: crisi bancarie, depressione economica e spirituale, palle da demolizione, perdita dell’etica del lavoro, speranza.
We Take Care of Our Own, posta in apertura, è il primo singolo e ricorda in qualche modo Born in the USA, anche se la cassa dritta è quasi disco. Ma tutto l’album rimanda ad atmosfere già incise; è un déjà vu piacevole, confortante, che prende per mano e asciuga le facce sporche dell’America.
Il primo terzetto di canzoni è potente come un pugno in faccia: sgretola ogni certezza per ricostruire tutto da capo. È un ground zero di rabbia e, in fondo, umiltà.
Al quarto brano il Boss rallenta e si concede una ballad terzinata bellissima, Jack of All Trades, che incanta nella sua semplicità. Il soul riletto dal Boss, caldo e intenso.
Death to My Hometown è un country folk di protesta con tanto di fiddle, mentre This Depression, scritta assieme a Tom Morello dei Rage Against the Machine, disegna un parallelismo tra la Grande Depressione e la crisi di valori che sta investendo la società americana di oggi.
Il resto di Wrecking Ball è semplicemente delizioso anche se i testi sono durissimi, orgogliosi e allo stesso tempo umili. Land of Hope and Dreams ospita l’ultimo contributo di Clarence al sax, e svolta presto verso We Are Alive, che chiude il disco con un messaggio inequivocabile: noi siamo vivi. Scalcianti. E non ci arrenderemo.

laura.albergante

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